Ho imparato.
Signorina, questa malattia se la porterà nella tomba.
Non starò qui a raccontarvi della mia rettocolite ulcerosa, dei miei sette interventi in sei anni, di quelli andati male e di quelli andati bene, delle mie due ileostomie o del confezionamento di una pouch-ileale, di quanto la malattia ti metta a dura prova, di quanto ti riesca a piegare a tal punto da cambiarti completamente e renderti insicura, del continuo e costante senso di inadeguatezza sempre e ovunque, dei sensi di colpa nei confronti di chi ti sta accanto a causa delle sue rinunce, o il sentirsi sempre in debito con l’azienda per cui lavoro a causa di assenze prolungate. No, non voglio parlarvi di questo. Voglio parlarvi di cosa ho imparato negli anni, e di quanto una buona assistenza psicologica sia utile per scoprire quanto un atteggiamento positivo possa impattare sugli effetti negativi della malattia.
Ho imparato che di questa malattia esistono due aspetti, uno oggettivo e uno soggettivo. E’ stato fondamentale riuscire a distaccarmi dall’idea di me che avevo per anni, di quella Anna ‘malata’, un’idea ormai fossilizzata, distorta e lontana dalla realtà. L’aspetto oggettivo è quello ‘fermo’ della malattia, non modificabile, ma in molti casi migliorabile: le visite, le analisi, le colonscopie, l’aspetto invalidante, le scariche, le corse al bagno, il dolore, la febbre, le assenze sul lavoro. L’aspetto soggettivo riguarda invece l’idea di come vediamo noi stessi e come ci vedono gli altri, le loro opinioni e quanto ci facciamo condizionare da esse, quanto rimaniamo ancorati all’idea di malato. Questo aspetto è modificabile e deve essere modificato; mi ha permesso di prendere consapevolezza della malattia, di accettarla e di viverla con maggiore distacco.
Ho imparato a vivere solo di sane aspettative, quelle che, se non dovessero concretizzarsi, non ti cade il mondo addosso. Ho imparato a riporre fiducia e speranza solo laddove risiede una buona probabilità di non rimanere delusi, per non mettere a serio rischio la salute mentale. Ho imparato che ci vogliono anni prima di capire cosa significhi convivere con una malattia infiammatoria cronica intestinale, con i suoi alti e bassi, perché ci sono e ci saranno sempre alti e bassi. Che fare quindi? Sorridere, ringraziare Dio dei momenti di benessere, non mollare mai ma andare avanti sempre, per noi e per le persone che ci amano e che ci sono accanto, spesso impotenti.
Concedetemi un piccolo spazio tra queste righe per ringraziare la persona che mi è accanto da diciannove anni, mio marito Stefano, che continua ancora oggi a sostenermi nei momenti difficili e a ridere con me di quelli felici.
Per finire, la cosa più importante tra tutte quelle che ho imparato è il parlare della malattia. Scegliete voi con chi, se in associazione AMICI Onlus, con il vostro medico di fiducia o con uno psicologo, ma parlatene, confrontatevi, chiedete, arrabbiatevi, ne abbiamo diritto! Non permettete alla malattia di chiudervi e costringervi a vivere in totale solitudine, come ho fatto io per anni. Altrimenti si corre il rischio di darsi da soli risposte, spesso errate, alle proprie domande e ai propri dubbi, e che quelle stesse risposte da convinzioni si trasformino in veri e propri macigni, difficili poi da spostare.
Forza e coraggio, sempre.
Anna, colite ulcerosa – “Women Fighters” 2017 Linea Edizioni, All rights reserved – © copyright Chiara DeMarchi
Rifiuto di pensare che una malattia cronica non sia all’altezza di tutti, che sia un limite, una sorta di barriera invisibile che frena i sentimenti, che li spaventa ed ostacola.
Perché una malattia cronica come la colite ulcerosa o la malattia di Crohn deve essere sinonimo di responsabilità e limitazioni in un rapporto di coppia? Perché non guardare oltre al corpo malato riscoprendo così la bellezza infinita racchiusa nell’anima?Coltivare la perfezione o la ricerca costante di un amore perfetto, senza sacrifici o difficoltà, equivale a perdersi. L’amore che fonde due anime é paziente, tollerante e coscienzioso, apprezza, insegna e non pretende. L’amore nutre la vita nella malattia, non dà nulla per scontato, anzi, vive ogni attimo intensamente, che sia di luce o di buio ed ogni dettaglio merita rispetto e stupore. Le cicatrici, le ferite ancora aperte, gli ematomi, le smagliature, le rughe, i sacchetti attaccati alla pancia, i capelli che cadono, i chili che salgono e scendono, le terapie che debilitano. Mi piace pensare che siamo esseri umani uguali nelle loro diversità, con un elenco di sentimenti ed emozioni a seguito, venuti dalla stessa polvere di stelle fusa dall’alito divino e accomunati dallo stesso destino.
Il corpo in malattia si trasforma proprio come quando invecchia e così anche l’amore. Esso si modifica, cambia, non rimane sempre uguale, ma evolve, cresce, si fonde con l’anima della persona amata, diventa un tutt’uno tanto da non riuscire a farne a meno.