La pseudostruzione intestinale cronica è cresciuta con me. Si tratta di una malattia rara, ancora poco conosciuta, che causa una grave alterazione della motilità intestinale tale da impedire la progressione del cibo nel tubo digerente, provocando occlusioni intestinali ed incapacità di alimentarsi in modo adeguato. I primi subdoli sintomi si manifestarono alle scuole elementari. Negli anni che seguirono fu un lento ma progressivo e costante peggioramento e all’età di 19 anni, poco dopo il diploma superiore, il primo intervento chirurgico. Quel giorno mai avrei immaginato che sarei andata in sala operatoria circa un’altra dozzina di volte e che il mio iter si sarebbe concluso a 34 anni con una ileostomia definitiva.
Nonostante tutto sono stati anni intensi, vissuti fino in fondo. Invece che compiangermi ho preferito rimboccarmi le maniche e non perdere tempo. Non non ho mai permesso alla malattia di comandare la mia vita.[su_pullquote align=”right”]Volevo vivere e godere le mie giornate.[/su_pullquote]
Tra un ricovero e l’altro ho preso la laurea in medicina, tra un intervento e l’altro la specializzazione in chirurgia generale, facendo i salti mortali per conservare anche una vita sociale il più normale possibile. Tuttavia un giorno mi sono trovata al bivio, quando ho iniziato a rendermi conto che la malattia stava condizionando ogni mia attività, anche la più semplice, come uscire a mangiare una pizza con gli amici o fare una vacanza.
La mia condizione iniziò ad andarmi molto stretta. Per un medico la consapevolezza dei limiti imposti dalla malattia è forse il lato peggiore. Inizialmente la rabbia mi ha impedito di ragionare e prendere qualsiasi tipo di decisione ma al tempo stesso proprio questa rabbia mi ha impedito di mollare tutto. Così, prendendo il coraggio a due mani, feci l’ultimo passo. Mentre attendevo il mio turno fuori dall’ambulatorio iniziai a rimuginare sul modo in cui avrei formulato i miei quesiti anche se dentro di me già conoscevo la risposta. Per questo devo ringraziare il cinismo e la calma freddezza con le quali il collega mi ha messo davanti la mia situazione.
Dottoressa, così non può continuare. Che le piaccia o no c’è un solo modo di uscirne e lei già lo sa perché è un chirurgo.
Queste poche parole mi hanno dato una scossa,hanno avuto lo stesso effetto di un “Veronica svegliati che sei sull’orlo del burrone”. Sul mio caratteraccio le parole miti e gentili non hanno mai sortito grandi opere di persuasione. Per la prima volta dopo tanto tempo ho iniziato a prendere in considerazione l’idea che con una ileostomia avrei avuto la possibilità di riprendere in mano le redini della mia vita. In fondo un sacchetto sull’addome sarebbe stato meglio della nutrizione artificiale e se tutto fosse andato bene avrei avuto anche la possibilità di riuscire a mangiare qualcosa in più.
Così, poco dopo aver consegnato la tesi di specializzazione,mi sottoposi all’intervento. Non è stata una scelta avventata,ma pesata e valutata in tutti i suoi aspetti. Da chirurgo sapevo cosa comportava la convivenza con l’ileostomia e mi rendevo conto che il cammino intrapreso non sarebbe stato tutto rose e fiori. Il giorno in cui sono tornata a casa con la stomia è iniziata la mia vita vera. Sono ancora molte le persone che, a distanza di tre anni, mi chiedono che cosa ho provato quando mi sono svegliata con la stomia, la prima volta che mi sono guardata allo specchio. A questi rispondo: assolutamente nulla.
Avevo l’impressione che quel sacchetto fosse sempre stato lì, e non mi sono mai sentita meno bella o sminuita nella mia persona,anzi il contrario. La stomia è la mia forza.
Ora,grazie ad essa,io e la pseudostruzione giochiamo ad armi pari. Le cicatrici servono a ricordarmi ogni giorno per cosa ho lottato fino ad ora e per cosa devo ancora combattere.[su_pullquote align=”left”]Ho scelto la via del dialogo parlando liberamente della mia storia in quanto ritengo che ancora le malattie rare non godano di sufficiente interesse da parte delle istituzioni[/su_pullquote]
Allo stesso modo non ho mai pensato, nemmeno per un attimo, di rinunciare al mio lavoro, così continuo a portare avanti in modo parallelo il mio doppio e a volte difficile ruolo di medico-paziente. In questo mio lungo percorso ho avuto comunque la grande fortuna di non essere mai stata sola, nonostante più volte sia stata costretta a recarmi in trasferta, lontana da casa. Ho sempre avuto ogni giorno il sostegno, la simpatia e la solidarietà di amici, colleghi e familiari. Ognuno di loro ha fatto tutto ciò che ha potuto per aiutarmi in qualsiasi modo. Senza la loro collaborazione sarebbe stato molto più difficile per me arrivare fino in fondo.
A ciascuno di loro va il mio GRAZIE.
Veronica, pseudostruzione intestinale cronica