Soffro di problemi legati all’intestino da sempre. Fin da piccola sono stata perseguitata dalla stipsi. Una stipsi grave, ostinata, renitente a qualsiasi dieta o stile di vita, che veniva inesorabilmente trattata con ogni tipo di lassativo, “naturale “, chimico, omeopatico.
Non è mai stato indagato il perché io fossi nata così, era così è basta. Solo molti anni più tardi mi fu spiegato che non era “così è basta”. Ero nata con una patologia congenita che se fosse stata diagnosticata e trattata all’epoca, con un piccolo intervento avrei risolto i miei problemi per sempre, evitandomi il lunghissimo calvario che sopporto da anni.
Ho tirato avanti con dolori fortissimi, episodi ripetuti di vomito, crampi addominali, febbricola, finché non ce l’ho fatta più, e ho capito che imbottirmi di lassativi non poteva essere la soluzione visto che stavo malissimo.
Ho iniziato a girare vari ospedali x confrontare il parere dei vari chirurghi che interpellavo, e, dopo aver fatto ogni tipo di indagine possibile all’intestino, alcune anche parecchio umilianti, la diagnosi è stata sempre la stessa: dolicomegacolon congenito da trattare chirurgicamente per risolvere il problema delle sub-occlusioni intestinali.
All’idea di essere aperta dallo stomaco in giù per levare il colon mi sono spaventata, poi alla fine ho accettato di farmi operare in una clinica rinomata vicino a Bergamo, dal medico che aveva promesso di essere il meno invasivo possibile. È stato l ‘inizio di un calvario senza fine. Errori, occlusioni intestinali, manovre endoscopiche subite senza un minimo di anestesia al pari di vere e proprie torture. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, mi capita di avere incubi che ricordano quei momenti, e le mie urla talmente forti che facevano scappare le persone in attesa fuori dall’ambulatorio.
Quelle endoscopie sconsiderate mi procurarono una sorta di setticemia all’addome che fu necessario trattare in emergenza pur di salvarmi la vita. In quell’occasione mio marito, che da sempre mi assiste e sta vicino, testimone oculare degli scellerati errori e trattamenti che fin allora avevo subito, mi portò in un altro ospedale dove furono costretti ad asportarmi anche tube e ovaie, dal momento che l’ infezione era particolarmente estesa. E così a neanche 40 anni mi ritrovai mio malgrado in menopausa.[su_pullquote align=”right”]Ero viva ma non era finita.[/su_pullquote]
Continuai ad avere occlusioni, crisi addominali, dolori, nuovi interventi chirurgici, che ogni volta tagliavano e ritagliavano il mio addome.
Nel tentativo di cercare di dare alla mia vita un minimo benessere, continuammo ad interpellare chirurghi di vari ospedali, e fu proprio uno di questi, dell’ospedale di Udine, che ci propose un intervento innovativo. Si trattava di inserire nella colonna vertebrale un pace-maker che, modulando gli impulsi, avrebbe dovuto stimolare il movimento intestinale. Era davvero un procedimento innovativo in quanto, in tutto il mondo, ne erano stati impiantati solo trentamila.
Non funzionò neanche quello, anzi, dopo poco tempo, iniziò a stimolare eccessivamente gli arti inferiori ma non l’intestino! Altro ricovero, altro intervento per rimuoverlo.
[su_pullquote align=”left”]Ancora anni di tribolazioni e sofferenze finché fu chiaro che ormai non avevo più scelta, se non volevo più soffrire così e rischiare la vita con le occlusioni, dovevo accettare di essere stomizzata.[/su_pullquote]
Nell’aprile del 2013 tornai ancora una volta in sala operatoria e mi fu confezionata una ileostomia definitiva. Nonostante fossi praticamente da sempre abituata ai disagi ed alle restrizioni alimentari e sociali che ogni intervento all’intestino o all’addome comportavano, la stomia è stata una rivoluzione, uno tzunami nella mia vita già così travagliata.
Innanzitutto l’accettazione di quella cosa che mi sporgeva dalla pancia, doverla toccare, pulire, gestire. Quelle sacche da attaccare che, in seguito ad una funzionalità forse chirurgica o forse naturale, continuavano (e continuano) a staccarsi. Dover prendere un intero guardaroba e buttarlo nella spazzatura. Tutti i miei vestitini aderenti, le mie magliettine ombelicali, i jeans a vita bassa, i pantaloni, che adesso devo comprare di due taglie in più perché non devono stringere. Sono praticamente reclusa in casa, a parte quelle poche ore al mattino in cui riesco a lavorare, mai un cinema. Una gita si può fare solo con la garanzia di trovare toilette confortevoli, e se riesco a muovermi devo portarmi via una valigia piena di tutto ciò che mi può servire.
E i problemi che continuano, i dolori dovuti alle aderenze, la prospettiva di un nuovo intervento.
Ma è VITA, e io sono una persona comunque molto fortunata perché ho un marito eccezionale, che non mi ha mai mai lasciato sola, che si è sempre sacrificato per assistermi, starmi vicino, aiutarmi. E un figlio affettuoso e sensibile, una sorella, l’unica famiglia d’origine che mi resta, e tantissimi amici e colleghi meravigliosi ai quali voglio un bene infinito.
Certo ci sono giorni in cui vorrei sparire dalla faccia della terra per non soffrire più, ma poi le nuvole nere si diradano e torna fuori il sole.
E sorrido, e col sorriso vado incontro alla vita, che sicuramente mi sorprenderà con cose belle.
Cristina, dolicomegacolon congenito